Civita - Senza aggettivi e senza altre specificazioni

Civita - Senza aggettivi e senza altre specificazioni

✍️ Autore: Giovanni Attili

Terra e madre matrigna

Il nero. Ciò che non muta

morte (p. 40)

La sera andai in casa del piccolo defunto per recitare le preghiere dei morti. Pensavo che avrei trovato il padre e la madre addolorati, ma rimasi molto delusa. Ad un certo momento, il marito mise la mano sulla spalla della moglie e disse: «Annamo a letto, va', annamolo a fa n'antro». Lasciammo quella casa, ma, in cuor mio, ero rammaricata e confusa. La morte, così brutta come io la vedevo, così misteriosa e tetra, non aveva scomposto per nulla quei genitori. Ho riflettuto tanto sull'episodio, quand'ero più avanti negli anni. Ne ho dedotto che quel comportamento fosse da attribuire alla cultura della povertà e delle miserie. Una cultura ereditata, per la quale un simile evento rientrava nella normalità. La disgrazia più grande era se ti moriva un porco, una vacca, un somaro. Questi sì che ti davano il sostentamento in famiglia: latte, carne e aiuto nel lavoro dei campi! Ma un figlio non dava niente.

- Vilma Catarcione, Nel cuore di Civita. Ricordi di una civiltà perduta, Tipografia Quatrini, Viterbo 1997

Guarda, se so' utile fammi vive

ricordo (p.44)

«Ogni giorno è il mio per morire, perché ce l'ho 105. So' tanti. Io alla Madonna le dico «guarda se so' utile fammi vive, se no portemi via». Queste cose gliele dico, non mi vergogno a dillo. Ha capito. Ecco: non so' bona a niente, non posso legge, so' sorda, non posso camminà, faccio solo du' passi così, con la carrozzella. Madonna, non so' più bona a niente, ma la memoria, quella c'è: mi ricordo tutto. Ricordo la miseria. E il mio poro babbo che, quando mangiavamo il primo piatto, lo dava a quelli che lavoravano. Noi c'avevamo il camino che ci scaldava, ma lui diceva: «Levatevi voialtri, voialtri state a casa, invece loro stanno in campagna, soffrono freddo, la fatica, e tutto». Allora loro si mettevano lì davanti al fuoco. E quando si stava a tavola facevamo da mangià per tutti. Mangiavano con noi ma il primo piatto era sempre per loro.»

  • Luisa Medori

Senza ristoro d'ombra

suono (p.53)

Non c'è momento della vita civitonica che non abbia suono familiare, musica di festa, o vociare intonato. Tutto è circondato da un tappeto sonoro. Un controcanto che amplifica, sottolinea, distende e nomina gli accadimenti nel borgo.

Eutanasia silenziosa

industrializzazione (p. 59)

Dall'alto dei suoi 105 anni, la voce di Zia Luisa è lapidaria: «C'ha rovinato, Giovanni, quello delle machine. Come si chiamava? Adesso non mi ricordo... Agnelli! Ha cominciato a richiamà tutti i contadini. Noi c'avevamo i contadini. La valle di Civita portava su tanta roba, allora c'erano le bestie, il grano c'era da vendere, l'olio a quintali si vendeva, perché era ricca la valle di Civita, e però dopo si è ridotta così. Agnelli ha cominciato a dì che li dava di più di soldi. Pei soldi so' scappati tutti. La valle di Civita è rimasta abbandonata».

età dell'oro, età del pane (p. 60)

È questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a soli pochi anni fa, che io rimpiango. Gli uomini di questo universo non vivevano un'età dell'oro, come non erano coinvolti, se non formalmente, con l'Italietta. Essi vivevano quella che Chilanti ha chiamato l'età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita. Che io rimpianga o non rimpianga questo universo contadino, resta comunque affar mio. Ciò non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così com'è la mia critica: anzi, tanto più lucidamente, quanto più ne sono staccato, e quanto più accetto solo stoicamente di viverci.

- Pier Paolo Pasolini, Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino

rapporto uomo-natura (p. 61)

Il processo di modernizzazione modifica, radicalmente, questi universi e le relazioni che gli abitanti avevano intessuto con il loro territorio.
Il silenzioso e definitivo scollamento tra paesi e comunità produce una frattura pericolosa: le piccole città possono vivere senza il loro territorio e il territorio può morire senza più alcun rapporto con i centri urbani di riferimento. Lo stravolgimento della realtà contadina, intesa come realtà produttiva e culturale, finisce con lo sfibrare il legame tra mondo sociale e tessuto paesaggistico-ambientale. «Questa trasformazione porta con sé la rottura dei rapporti che tenevano insieme saldamente la società alla natura, l'uomo alla terra, spezzando quel ciclo che legava l'uomo alla produzione e alla manutenzione delle risorse ambientali. In questa fase di grande mutamento e trasformazione si perdono o, quantomeno, si affievoliscono quei saperi della tradizione.

eutanasia del mondo contadino (p. 61)

La storia di Civita esemplifica, in maniera paradigmatica, l'eutanasia del mondo contadino e la frantumazione di un assetto socio-territoriale che finirà con l'inscrivere il piccolo borgo nella geografia dei vinti.

eutanasia del mondo contadino (p. 61 - nota)

Questa eutanasia silenziosa del mondo contadino rappresenta un cambiamento strutturale che investe tutto il territorio italiano. In termini generali, si stima che, in pochi decenni, laddove "la produzione agraria in Italia agli inizi del secolo rappresentava più del 50% del prodotto nazionale, oggi non supera il 3%, diminuendo grandemente anche la forza attiva da circa dieci milioni di persone a un milione, e i ventotto milioni di ettari di superficie totale delle aziende agricole nel 1930 sono diventati meno di venti milioni settant'anni dopo.
Alla memoria orgogliosa d'una cultura della povertà che di fatto si caratterizzava oltre che per una serie di limiti anche per quello che oggi definiremmo un alto livello di [[resilienza]], si viene man mano a sostituire una cultura del progresso che fino alla fine degli anni Settanta coinciderà con un forte processo di urbanizzazione"

- Elisa castelli, Il ruolo delle comunità internazionali eco-sostenibili nel ripopolamento delle aree rurali

distacco uomo-natura (p. 62)

In questo preciso momento storico si smarrisce la confidenza con il sole e con la pioggia. Le relazioni umane vengono sostituite dal valore di scambio. La luna non è più maestra d'anime.

Fragilità senza cura

Le risorse come la terra, l'acqua, le coltivazioni, la vegetazione naturale a Civita erano considerate bene comune. Pertanto tutti se ne prendevano cura accrescendo un senso di comunità. L'ambiente circondante viene visto come bene comune e si lavora affinché venga preservato.

#DaLeggere Il ruolo delle comunità internazionali eco-sostenibili nel ripopolamento delle aree rurali (Elisa Castelli), tesi di dottorato in ingegneria dell'Architettura e dell'Urbanistica

statuto medioevale su civita (p. 63)

Gli statuti medioevali prescrivevano anche il divieto di scavare all'interno del substrato tufaceo su cui poggia Civita. Come ricorda Papini: «I nostri saggi antenati [...] negli statuti medioevali comunali, e quello del 1373 pervenuto fino a noi lo conferma, vietarono espressamente sotto pena di multe, di escavare e ampliare grotte nelle rupi e sotto le strade di Civita»

la causa della morte di civita (p. 64)

«La causa dell'acceleramento della scomparsa di Civita è tutta qui: nella certezza acquisita dai suoi abitanti che nulla potrà mai arrestare l'irreparabile»

- Papini

La salvaguardia del fuoco

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Terra d'adozione

Viene descritta la storia di Astra Zarina e il contributo che ha apportato a Civita

astra zarina

Astra ha dato tutto a Civita, ha dedicato la sua vita a Civita. E ha permesso che la vita tornasse nel borgo. Da quando Astra è venuta, è rinato l'interesse per Civita, anche dei civitonici come me che erano andati via e che ora so' ritornati.

- Intervista a Sandro Rocchi

Astra Zarina

1929: Astra Zarina nasce a Riga
1944: Insieme alla famiglia lascia la Lettonia a causa dell'imminente occupazione dell'esercito sovietico.
Si rifugia prima aWeissense in Austria, poi a Esslingen in Germania.
Dopo 3 anni espatria negli USA dove si laurea in Architettura a Seattle, presso l'Università di Washington
1960: Diventa la prima donna architetto a ricevere il premio Rome Prize dall'Accademia Americana di Roma

Un grande camino in pietra

Astra si trasferisce a Civita per cercare di risollevare questa città. Credeva fortemente che la città potesse tornare a vivere ed essere abitata dai suoi cittadini

(p. 134)

Astra non voleva che Civita si trasformasse in un museo, un qualcosa che le persone venivano a vedere per poi ripartire subito dopo. Il suo sogno era quello che Civita tornasse a essere un paese fiorente e pieno di vita. Un paese caratterizzato da micro-attività imprenditoriali capaci di ricostituire un tessuto produttivo indispensabile per l'esistenza del borgo.

- Intervista a James M. Corey

Strappare alla dimenticanza

(p. 140)

Sono anni, infatti, in cui «tutta Civita comincia a ruotare intorno ad Astra. Tutto aveva una mente che programmava, prevedeva, organizzava. Tutto aveva un senso perché c'era Astra. Lei era dappertutto. Grande calore umano, trasporto, passione, impegno: io questo ricordo». Una presenza inattesa. Un progetto sociale e culturale

  • Intervista a Luciana Vergaro

Comne si rende la città autosostenibile in questo senso? Come la si rende indipendente da Astra?

Alla ricerca di ciò che si è perduto

(p. 163)

Una piccola città di residenze temporanee capace di ospitare soggetti propriamente urbani: artisti, intellettuale, professionisti, imprenditori che scelgono un territorio perduto e mitizzato al tempo stesso.

[...]

...questo borgo dà loro un senso di libertà che, magari, non trovano nel loro quotidiano. È una libertà sicuramente individuale, intellettuale e mentale, ma anche una libertà di cittadinanza.

[...]

Questo è un luogo dove si può vivere benissimo in contatto con il mondo. Oggi la tecnologia lo permette, quindi puoi essere veloce come un ragazzo di San Francisco e lento come un contadino etrusco. Ecco, queste due cose le puoi mettere insieme solo qui.

[...]

Far si che questa libertà e dualità di velocità la si possa trovare solo in luoghi come Cività è stata una nostra scelta. Non deve essere così! Possiamo trasformare le nostre città! Possiamo e dobbiamo essere liberi dove siamo, e NON scappare alla ricerca della [[libertà]].

(p. 163)

Abitare fuori dalla città che tuttavia non è più campagna

Secondo Pierre Donadieu questo fenomeno è leggibile all'interno di una teoria del [[tutto urbano]] in base alla quale i soggetti che scelgono la campagna non diventano contadini ma neo-abitanti caratterizzati da valori, abitudini e culture tipicamente urbane. Da questo punto di vista il territorio urbano appare come substrato, al contempo storico ed ecologico, capace di generare una differenza di habitus, una distinzione sociale

Possiamo fare il contrario: rendere più rurali i centri urbani

Un fiore all'occhiello

(p. 183) il progetto civita

La vicenda del [[Progetto Civita]] dimostra come un progetto non possa essere pensato a priori da una mente separata dal corpo della vita ed essere imposto dall'alto, ma debba, piuttosto, «scaturire e prendere forma nel tempo, attraverso il coinvolgimento delle diverse soggettività che partecipano alla sua costruzione»

- Lidia Decandia, La tarantella come dispositivo aperto di costruzione dell'identità: una metafora per ripensare il progetto

E se invece è necessario un certo cambiamento ma le persone non vogliono accettarlo perché la gente ha pura di cambiare, come si coinvolgono anche loro nel processo progettuale in modo costruttivo?

Nuove combustioni

Terra di spettacolo

Si parla della museificazione e mercificazione di Civita. Come il turismo di massa sia dannoso per l'essenza di un spazio, un [[museo]], in cui i turisti vengono a scattare foto come prova di esserci stati e i commercianti adattano le loro attività per massimizzare il profitto.

Per rimanere uguale a se stessa

(p. 266)

Questa strana enclave, architettonicamente e urbanisticamente perfetta ma morfologicamente isolata, non consentiva progetti espansivi e quindi non ha permesso, per certi versi, neanche le brutture delle ricostruzioni negli anni Cinquanta e Ses-santa. Quindi, non ci fu l'alluminio anodizzato, non ci fu il cemento armato a vista, non ci furono i portoncini di vetro né quelli di vetro sabbiato. Non ci furono tutti quegli orrori che hanno impoverito, dal punto di vista estetico e culturale, moltissime città italiane. Le stesse persone che sceglievano di venire qui erano disposte a spendere i loro soldi per rimettere a posto un tetto, per rifare le finestre, ma non certo per deturpare. E questa è stata, in gran parte, la fortuna di Civita che ha mantenuto un'integrità, anche da un punto di vista semantico.

Museificazione

museo (p. 271)

Secondo Agamben, il museo non è un «luogo o uno spazio fisico determinato, ma la dimensione separata in cui si trasferisce ciò che un tempo era sentito come vero e decisivo, ora non più. Il Museo può coincidere, in questo senso, con un'intera città (Evora, Venezia, dichiarate per questo patrimonio dell'umanità), con una regione (dichiarata [[parco naturale]] o [[oasi naturale]]) e perfino con un gruppo di individui (in quanto rappresentano una forma di vita scomparsa). Ma, più in generale, tutto oggi può diventare Museo, perché questo termine nomina semplicemente l'esposizione di un'impossibilità di usare, di abitare, di fare esperienza».

- Giorgio Agamben, Profanazioni

capitalismo (p. 272)

Se i cristiani erano Pellegrini, cioè stranieri della sulla terra, perché sapevano di avere nel cielo la loro patria, gli adepti, del nuovo culto capitalista, non hanno alcuna patria, perché dimorano nella pura forma della separazione. Dovunque si rechino, essi ritrovano moltiplicata e spinta all'estremo la stessa impossibilità di abitare che avevano conosciuto nelle loro case e nelle loro città, la stessa incapacità di usare che avevano sperimentato nei supermercati, nei Malls e negli spettacoli televisivi. Per questo, in quanto rappresenta il culto e l'altare centrale della religione capitalista, il turismo è oggi la prima industria del mondo, che coinvolge ogni anno più di 650 milioni di uomini.

  • Giorgio Agamben, Profanazioni
come ci si sente a vivere in un museo? (p. 272)

Carol ricorda: «una volta un turista mi ha chiesto: "Come ci si sente a vivere in un museo?". Gli ho risposto: "Non ho mai pensato di vivere in un museo". Ma effettivamente i turisti vedono Civita in questo modo. Pagano per entrarci e quindi pensano di entrare in un museo e noi veniamo trattati come delle figurine in vetrina».

Spettacolo tanatoscopico

la città che muore? (p. 283)

Su Facebook un altro turista commenta: «il paese che muore??? tutta una cazzata!!! non ci andate, è tutta una strategia per fare cassa». Su un blog: «Invece che trovare case abbandonate, stradine deserte, finestre chiuse e porte sbarrate, i turisti incontrano subito un negozio di souvenir, poi un bar, poi un altro negozietto, poi un ristorante, una trattoria, un altro bar».

Mercificazione

disneyficazione (p. 287)

«Si riabilita il patrimonio e lo si mette in scena sull'esempio delle scenografie cinematografiche. I centri urbani sono ripuliti, scenografati, disneyficati in vista del consumo turistico. [...]». Quello che si produce è una valorizzazione distrattiva: un gioco di seduzione sempre rinnovato per captare i desideri del neoconsumatore [[edonista]].

soggiorni brevi (p. 290)

Le persone sono invitate a scoprire paesaggi autentici e a soggiornare nelle case degli «abitanti del posto». Si tratta di una strategia discorsiva pensata per creare desiderabilità e quindi valorizzare il patrimonio immobilia-re, anche quello pubblico, come prodotto spendibile per soggiorni brevi.
Gli obiettivi sono chiari: «non solo o non tanto fare cassa percependo gli affitti dai propri guest (cosa che, a quanto pare, il Comune di Civita non è ancora riuscito a fare per problemi relativi alla natura giuridica dell'host), ma anche e soprattutto ottenere visibilità».

La spada del destino di un angelo

patrimonio: risorsa esauribile (p. 307)

Civita oggi genera soldi svendendo l'immagine del suo patrimonio.
Ma il patrimonio di cui parliamo deve essere considerato, all'interno dell'attuale modello di sviluppo, come una risorta esauribile perché ha eroso le sue possibilità di rigenerarsi. Un patrimonio che ha finito con Fabdicare alle sue funzioni sociali e culturali rimanendo un semplice simulacro monumentale.

patrimonio (p. 307)

«In pochi sembrano ricordarsi della funzione civica, pubblica, emancipatrice ed educativa dei beni culturali per le comunità che li hanno prodotti e conservati nei secoli»". I monumenti e più in generale il patrimonio culturale di ogni città costituivano un principio d'identità civica e di identificazione emotiva che corrispondeva all'idea stessa del far parte di una comu-nità. All'interno delle moderne cattedrali del consumo, il valore civico dei monumenti è stato negato in favore del loro potenziale economico.

Questo libro non si pone l'obiettivo di fornire risposte progettuali.

Aiuta però a porre le giuste domande